Da recluso, ogni mattina mi sono seduto davanti a una macchina da scrivere, poi, una volta passato in giudicato, davanti a un computer. Così, giorno dopo giorno, la scrittura si è trasformata in una disciplina che mi imponevo per contrastare il feroce rigore dei miei carcerieri. Comunque sia, questo non fa di me uno “scrittore”.
Così Rouillan spiega il suo bisogno di scrivere nella prefazione del libro, mettendo però il lettore sulla cattiva strada. Scrivere per combattere la disumanità dell’essere rinchiusi può essere garanzia di sincerità ma non di efficacia della narrazione, per cui, dopo questa affermazione, a dire il vero non mi aspettavo niente di particolarmente interessante – da uno che comincia dicendo che non è uno scrittore…
E non sono d’accordo, Rouillan ha una potente e asciutta capacità di raccontare che fa di lui un vero scrittore e rende le storie che stanno dentro Odio la mattina terribili, normali, straordinarie. Rouillan le mischia con frammenti della sua storia prima, fuori del carcere, la lotta contro il potere, nella Spagna franchista e nella Francia democratica. Ergastolani, feroci assassini, uomini a cui la detenzione, l’isolamento, le torture hanno fatto perdere la ragione, colpevoli, innocenti e condannati a pene spropositate. Gente che non c’entrava niente, o che c’entrava poco, ma bisognava trovare un colpevole all’omicidio di un poliziotto; oppure un uomo che era andato al processo talmente avvelenato dagli psicofarmaci da tirare qualcosa al giudice… venti anni, trenta anni, ergastolo.
Persone, con la loro vita spesso irrimediabilmente svanita. Fatta sparire da un sistema che si accanisce sui deboli, un sistema a cui Rouillan dà volti e voci – giudici , secondini, direttori. Anche questi “persone”? Più difficile da dire, l’umanità di questi risulta di solito impalpabile. Il signor Darbo, responsabile dell’applicazione delle pene alla direzione regionale dell’amministrazione penitenziaria, che decide se il fascicolo di un detenuto “liberabile” è degno di considerazione oppure no, è ancora un essere vivente o soltanto una rotellina semiefficiente di un sistema funzionante e arruginito?
E coloro quali fanno parte delle squadre che eseguono i pestaggi in isolamento?
“Dormi? Ehi, terrorista, dormi? Al prossimo giro entriamo e ti impicchiamo”.
E lasciavano la luce accesa fino al mattino.
Centocinquanta pagine piene di storie amare e di ribellione di uno che non si è mai arreso, e che dopo un breve periodo di semilibertà è stato rimesso in galera per le sue dichiarazioni. In un’intervista infatti si è permesso di dire: «Che non mi esprima è già una risposta perché solo se sputassi su tutto ciò che ho fatto potrei esprimermi. È evidente che mediante questo obbligo al silenzio si impedisce anche alla nostra esperienza di fare un bilancio critico». Per queste parole, subito di nuovo in cella.
Vuoi che ti racconti delle storie. E il mio stile? Ho vissuto di scorribande contro i furgoni della sbirraglia nelle strade di Parigi e vuoi farmi scrivere nella norma. Inquadrare le mie parole e poi farle circolare al passo. Con il fischietto. No, non ho stile. Non ho talento per questo esercizio letterario. Scrivo perché non ho ancora trovato altro da fare per uccidere definitivamente le mie mattine in carcere. Oppure non ne ho avuto il coraggio. Scrivo perché queste mattine senza vita siano imprigionate e sprofondino nel dolore delle parole e della loro fragile architettura.
Jean-Marc Rouillan – Je hais le matins, 2001. [ed. it. Odio la mattina, Nautilus – El Paso, 2008]
Giuseppe Aiello, 6 gennaio 2011