George Jackson – I fratelli di Soledad

Al cantagiro del 1967 il greco che l’anno prima era entrato a far parte de I Ribelli cantava: “La mia salvezza sei tu / sei l’acqua limpida per me / il sole tiepido sei tu, amore / torna / torna qui da me”, nella romantica Pugni chiusi che arrivò nel settembre di quell’anno fino al 15° posto di una classifica di vendite che vedeva Albano, Celentano e i Procol Harum contendersi i gradini più alti. Fu quello il miglior risultato commerciale de I Ribelli con Demetrio Stratos alla voce.


Sette anni dopo al 39° posto, invisibile alla hit parade, c’è un altro 7″, davvero curioso da pensare come successo pop. Sul lato A di questo strano dischetto realizzato per sostenere le spese legali dell’anarchico Giovanni Marini, che si trovava in carcere per essersi difeso (efficacemente) da un’aggressione fascista, c’era L’Internazionale eseguita dagli Area, in una versione che al compagno Ceausescu pare non piacque. Sul lato b un brano ostico, Citazione da George L. Jackson, dove il nostro greco recitava: “Non ho versato una lacrima / sono troppo fiero per farlo / un bellissimo uomo bambino / con un fucile automatico in mano / lui sapeva come essere col popolo / ho amato Jonathan / ma la sua morte ha solo rafforzato / la mia volontà di lottare”.


I tempi cambiavano velocemente, ciò che accadeva incideva nella vita delle persone, e un ragazzo che era avviato a diventare una popstar poteva scegliere di cambiare percorso ed essere la voce di un afroamericano ammazzato in un carcere statunitense.
Chi è il Jonathan di cui si parla? Era il fratello diciassettenne di George Jackson, che il 7 agosto 1970 entra nel tribunale di San Rafael dove veniva processato un detenuto del carcere punitivo di San Quentin, dopo un po’ tira fuori un fucile, lancia delle pistole all’imputato e ad altri due detenuti che si trovavano lì in qualità di testimoni e prendono cinque ostaggi, tra i quali il giudice e il procuratore distrettuale. Ovviamente, finirà in un massacro. L’intenzione di Jonathan era di chiedere la liberazione del fratello e di altri due detenuti del carcere di Soledad, accusati dell’uccisione di una guardia carceraria, seguita all’assassinio premeditato e a sangue freddo di tre detenuti neri da parte di un sorvegliante.
Ma insomma gli Area facevano i portavoce dei terroristi!


Con il linguaggio di oggi dovremmo rispondere: sì, solidarizzavano apertamente con gente che sosteneva e praticava la violenza rivoluzionaria. Oggi li si chiama “terroristi”. Ma I fratelli di Soledad non fu stampato clandestinamente, era un libro della Giulio Einaudi Editore, pubblicato poco dopo l’edizione originale americana. E sempre l’Einaudi fece uscire successivamente Con il sangue agli occhi,  dove la necessità della violenza è dichiarata in maniera ancor più netta e inequivocabile.
Jackson era finito in carcere – giovanissimo –  per reati comuni e si era ritrovato con una condanna a tempo indefinito, da un anno all’ergastolo, a seconda della condotta. Aveva presto scoperto a sue spese qual’era il comportamento richiesto dall’amministrazione carceraria: totale sottomissione a qualsiasi sopruso, sopportazione a oltranza di ogni angheria.

“Un’altra indagine svolta nel 1970 in quella stessa prigione [Soledad] da legislatori della California rivelò che le guardie carcerarie favorivano risse razziali tra i prigionieri e consegnavano armi ai loro beniamini. Incoraggiavano i prigionieri bianchi a gettare i propri escrementi nelle celle dei neri e a mescolare nel cibo di questi ultimi, urina, polvere di vetro, o detergenti, provocando inoltre dal canto loro, naturalmente, i prigionieri con insulti razziali”*

La maggior parte dei prigionieri cerca di sopravvivere, Jackson si mette a studiare, aderisce al Black Panther Party, fa continuo esercizio fisico e reagisce ogni volta che non può farne a meno. Mentre gli anni passano, la sua liberazione viene negata anno per anno e cresce la sua rabbia.

“Nessun nero esce da questo carcere se v’è qualche violenza nel suo passato, fino a quando non gli leggono quella cosa negli occhi. E non si può fingerla – la rassegnazione, la sconfitta – bisogna averla stampigliata chiaramente sulla faccia.
Io l’ho veduta – occhi su nere facce – nel cortile di San Quentin, di Tracy, di questo carcere. Quando uscii in cortile nel dicembre del ’62, i fratelli erano allineati sotto la pioggia, fuori del riparo della tettoia che copre una metà del cortile superiore. I messicani e i bianchi avevano occupato tutte le file sotto la tettoia. E lasciavano spazio in abbondanza per amici che non vennero mai. Cosi ebbi un’immagine, sin dal primo giorno laggiù, dell’antico schiavo, bagnato e tremante, mentre quegli altri individui se ne stavano rilassati, con spazio in abbondanza, sotto la tettoia.
I fratelli si preoccupavano soprattutto di evitare ogni guaio, in quanto il porco invariabilmente spara contro la faccia nera in ogni alterco tra neri e bianchi. Poi, sembra che i neri si preoccupino assai più dei bianchi e dei bruni di avere precedenti tali da meritar loro il condono. Questo non riesco a capirlo, in quanto hanno tanto di meno ad aspettarli a casa.”**

La violenza riversata dalla democrazia statunitense sui suoi ex-schiavi stava mutando nelle forme rispetto agli usuali linciaggi di pochi anni prima, ma la sostanza non era cambiata un granché. Come poteva finire la storia di George Jackson? Come lui stesso aveva previsto, detto e scritto, sarà ammazzato in carcere nell’agosto 1971, in una di quelle circostanze che non saranno mai chiarite, forse armato di una pistola, forse provocando una rivolta, forse in un tentativo di evasione, forse uccidendo tre guardie carcerarie e due detenuti bianchi, forse, forse, forse.
Oggi per la maggior parte di noi George Jackson è un nome che svanisce nel passato e delle Black Panther si parla – poco – come di eroi senza macchia e senza paura o come di autoritari assetati di sangue e potere.
Di fatto la violenza esercitata dal dominio (in questo caso soprattutto attraverso il Cointelpro dell’Fbi) su un settore della popolazione causa sempre violenza all’interno del settore stesso (questa mi piacerebbe averla detta io per primo, ma non è così).
Tanto per gradire:
Malcolm X viene sparato il 21 febbraio del 1965 da membri della Nation of Islam; Martin Luther King viene sparato da un killer (ignoto?) il 4 aprile 1968; Alprentice Carter e John Huggins vengono sparati da membri del gruppo nazionalista nero Us Organization il 17 gennaio 1969; la notte del 4 dicembre 1969 la polizia entra in casa di Mark Clark e Fred Hampton mentre tutti dormono e spara una novantina di colpi, ammazzando Clark e ferendo Hampton che sarà finito poco dopo con altri due colpi. L’amata Fay Stender, viene sparata nel 1979 da un  ex compagno di prigionia di Jackson, del quale era avvocato e destinataria delle più belle lettere del libro,  convinto senza alcuna seria motivazione che fosse una traditrice; resta su una sedia a rotelle e si suicida il 19 maggio 1980; Huey Newton viene sparato per strada da uno spacciatore nel 1989.
Naturalmente si può andare avanti, ma mi fermo qui. Se vi interessa capire una piccola parte di tutta questa violenza andatevi a leggere I fratelli di Soledad, che Einaudi non stampa più e che in libreria non c’è.

Giuseppe Aiello, 3 dicembre 2010

* Dalla premessa dell’editore inglese a I fratelli di Soledad.
** Da una lettera del 24 marzo 1970 di George Jackson a Fay Stender.

George Jackson, Soledad Brothers. The Prison Letters of George Jackson, 1970. [Trad. it. I fratelli di Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson, Einaudi, 1971].

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