Burgin, Lentini, Pontolillo & Bevitori, Andarsene dal carcere, 2014.

Max Burgin, Giovanni Lentini, Michele Pontolillo & Valeria Bevitori, Andarsene dal carcere, Alida Magnoni Editore, 2014.

ADC2014

Un connubio apparentemente curioso tra un prete, Max Burgin, e tre persone che sono andate in galera per ragioni differenti e con alle spalle, o nel presente, esperienze detentive diverse. Tutti e quattro sono arrivati alla medesima conclusione: è necessario “andarsene dal carcere”.
Senza ipocrisia: non avrei letto questo libro se non ci fossi arrivato tramite uno degli autori, Michele Pontolillo, con il quale condivido un po’ di idee sul mondo come va e come dovrebbe andare. Durante una lunga detenzione – 12 anni tra Spagna e Italia, tre dei quali in regime d’isolamento Fies – Michele ha sempre espresso posizioni attraverso le quali risultava evidente la ricerca di un percorso di libertà, nonostante si trovasse in luoghi che della libertà rappresentano la pura negazione. Non l’avrei letto, dicevo, perché non mi piacciono i “don” davanti al nome e cognome, diffido dei preti e dei religiosi in generale. Ciò premesso, tutti e quattro i sintetici contributi qui raccolti presentano nella loro evidente eterogeneità un’idea comune, che è quella della non riformabilità del carcere. Continua a leggere

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Kurt Vonnegut, Hocus Pocus, 1990.

Kurt Vonnegut, Hocus Pocus, 1990.

“Quest’opera di pura fantasia è dedicata alla memoria di…”

Vonnegut HP 001aVonnegut cominciava questo coso (“romanzo”? mah…) con un’affermazione a dir poco discutibile. Hocus Pocus sarebbe infatti, secondo il suo autore, un’opera di “pura fantasia”. Certo, è un libro che, nel 1990, descrive un futuro che oggi è passato. Nel 2001, anno in cui il protagonista si mette a raccontare la sua vita – oggi lo sappiamo – l’America non è diventata il posto terribile di cui parla Eugene Debs Hartke, i giapponesi non hanno comprato metà degli Usa per poi disfarsene quando hanno capito che era un pacco. Certo, alcune cose anche peggiori di quelle narrate sono accadute, e forse le carceri a stelle e strisce se le prenderanno in gestione i cinesi, ma ci vuole ancora del tempo. Ma per il resto la grandissima parte delle affermazioni e dei racconti di Hartke, cioè di Vonnegut, sono esatte, e quando non sono vere sono verosimili, con l’abilità di farti restare sempre con il dubbio – sta inventando o sta raccontando? Continua a leggere

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Urupia – Il biologico

Una mia personalissima selezione di estratti da documenti pubblici di Urupia diffusi in anni passati e in parte ingiustamente dimenticati  (G.A.)

Da: Associazione Urupia – Consumatori consumisti. Anche se etici e naturali. In Pollicino Gnus 112, Reggio Emilia, Dicembre 2003.

[…] Come Urupia abbiamo iniziato otto anni fa a produrre alimenti che noi stessi chiamavamo biologici, riportando questa definizione anche nelle rudimentali etichette fotocopiate al momento delle spedizioni ai soci. Al tempo decidemmo anche di iscriverci a un ente di certificazione e di avere i contributi comunitari a sostegno dell’agricoltura biologica: uno dei pochissimi casi in cui abbiamo scelto di accedere a finanziamenti pubblici. Alla base di questa decisione c’era anche l’idea che un ente di riferimento avesse tra i suoi scopi l’offrire consulenze e consigli che a noi, privi di qualsiasi competenza specifica in campo agricolo, sarebbero stati assai utili. Negli anni abbiamo vissuto direttamente l’impossibilità di uno scambio di questo tipo e abbiamo cominciato a renderci conto di come una certificazione ottenuta dopo cinque anni di controlli praticamente inesistenti, non potesse garantire niente di affidabile. Sicuramente noi, che mai abbiamo commercializzato i nostri prodotti – Urupia è stata finora un’associazione culturale che distribuisce ai soci sostenitori – e mai abbiamo chiesto il marchio di certificazione, siamo stati controllati superficialmente in confronto ad altre aziende di natura commerciale. Ma il percorso che porta dalla conversione al biologico lo abbiamo fatto interamente ed è proprio in questo tempo che il terreno dovrebbe essere “ripulito” da residui dannosi. La nostra esperienza è che non c’è stata nessuna verifica concreta del nostro operato da parte dell’ente di riferimento. Nel 2001 abbiamo quindi scelto di non chiedere nessun marchio di certificazione  e di ritirare la nostra iscrizione all’ente comunicandolo con la lettera che si può leggere in calce a questo nostro contributo scritto.

Nel frattempo molto stava cambiando nel circuito del biologico, a anche molto in fretta. Continua a leggere

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A Urupia si lavora troppo?

Una mia personalissima selezione di estratti da documenti pubblici di Urupia diffusi in anni passati e in parte ingiustamente dimenticati  (G.A.)

da: Lettera aperta di Urupia, Luglio 1997 –  Il lavoro: i settori produttivi

 Come già nella prima metà dell’anno scorso, anche dall’estate scorsa fino ad oggi le nostre maggiori energie si sono concentrate nei vari settori dell’agricoltura.

Un piccolo passo in avanti è stato fatto: l’anno scorso correvamo in continuazione, ma, nonostante ciò, eravamo sempre in ritardo rispetto alle esigenze dei campi. In seguito, continuavamo a correre, ma un po’ meno in ritardo ed in alcuni settori siamo pure riuscite a fare i vari interventi nei tempi giusti, ciò grazie ad una piccola crescita di esperienza e competenza, ad alcuni investimenti in altri macchinari agricoli, all’impianto di irrigazione… e la fatica comincia a dare più frutti. Continua a leggere

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Urupia – L’azienda (“azienda”? ma che schifezza!)

Una mia personalissima selezione di estratti da documenti pubblici di Urupia diffusi in anni passati e in parte ingiustamente dimenticati  (G.A.)

 Da: Lettera aperta di Urupia, Luglio 1997 – Senza dineria, grande miseria

Dal punto di vista economico l’ultimo anno si è rivelato abbastanza tranquillo. Abbiamo potuto godere di varie entrate da parte delle comunarde (eredità, aumento della pensione, vendita di una casa) e di alcuni crediti a condizioni favorevoli che ci hanno dato una discreta tranquillità e soprattutto la possibilità di fare altri investimenti (il nuovo sistema d’irrigazione, l’acquisto e la riparazione di varie macchine agricole), nell’attività di ristrutturazione e nella realizzazione del nuovo forno.

Le prospettive hanno però un suono meno tranquillo. Le entrate (sia delle pensioni, sia delle nostre attività produttive) dovrebbero coprire la sopravvivenza della nostra comune e, con l’aumento della resa nei vari settori dell’agricoltura, dovremmo anche essere in grado di rimborsare man mano i vari crediti amichevoli che ci hanno aiutato a creare e sviluppare il progetto Urupia. Continua a leggere

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Urupia: una comune libertaria nel Salento

Il progetto Urupia nasce all’inizio degli anni novanta dall’incontro tra un gruppo di salentini – all’epoca quasi tutti redattori della rivista Senza Patria – e alcune persone di origine tedesca, “militanti” della sinistra radicale in Germania.

Tre anni di seminari, scambi epistolari, incontri dibattiti, accompagnano un percorso di conoscenza, di chiarificazione degli obiettivi e dei contenuti del progetto, di definizione dei metodi organizzativi, delle prospettive economiche, delle possibilità politiche, ecc.

Il progetto decolla “ufficialmente” nel 1995, con l’acquisto di alcuni fabbricati rurali e di circa 24 ettari di terreno nelle campagne di francavilla Fontana, nel Salento, a metà strada tra Brindisi e Taranto.

La masseria – così da noi si chiamano i cascinali di campagna – e i terreni vengono acquistati grazie alle (poche) possibilità economiche delle comunarde e a diverse sottoscrizioni, crediti e donazioni di compagne e compagni italiani e tedeschi. La proprietà di questi beni viene intestata all’Associazione Urupia, figura giuridica senza scopo di lucro, creata appositamente per poter sottrarre alla proprietà privata la disponibilità legale dei beni e dei mezzi di produzione della Comune.

La Comune Urupia diviene così realtà: suoi principi costitutivi sono soprattutto l’assenza della proprietà privata e il principio del consenso, ossia l’unanimità delle decisioni. Questi “punti consensuali” vengono scelti nella convinzione che, in qualsiasi contesto sociale, una vera uguaglianza politica non sia realizzabile senza la base di una uguaglianza economica, e vengono assunti come corollario al desiderio di porre l’individuo, la sua autonomia e la sua felicità a fondamento di qualsiasi sviluppo sociale. Continua a leggere

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Urupia – Quotidiano e politica

Una mia personalissima selezione di estratti da documenti pubblici di Urupia diffusi in anni passati e in parte ingiustamente dimenticati  (G.A.)

Da: C’è bisogno di persone diverse per fare una comune. Cinque anni di Urupia – una comune aperta nel Salento (a cura di Karin Berger & Frank Brexel), Maggio 2000.

– Quali sono per te i contenuti politici che si sono realizzati nella comune?

Elli – I cambiamenti politici non si fanno dall’alto. La politica inizia nel come organizzo il mio quotidiano, dai miei comportamenti quotidiani e questo per me è il punto di partenza per cambiare qualche cosa. Urupia dà la possibilità ad ognuno di cambiare. Poiché siamo una comune aperta esiste per molti la possibilità di viverlo in prima persona e anche di potersi decidere per una forma di vita del genere. Continua a leggere

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Urupia – La comune binazionale

Una mia personalissima selezione di estratti da documenti pubblici di Urupia diffusi in anni passati e in parte ingiustamente dimenticati  (G.A.)

Da:  Notizie da Urupia,  Ottobre 1998.

Un nido nella foresta ovvero il periodo di prova a Urupia

[…] Innanzitutto vorrei dirvi che mi risulta difficile scegliere Urupia come luogo per viverci. Vorrei cercare di spiegarvi nel modo più chiaro possibile perché è così. Negli ultimi giorni mi sono chiesta cosa avrei voluto dirvi a proposito del mio periodo di prova a Urupia. Non mi riesce facile scegliere e riordinare i sentimenti e i miei pensieri così come desidererei. Inizierò dalla cosa più difficile: i miei sentimenti. Come risultato di questo mezzo anno in cui abbiamo condiviso la vita quotidiana mi sento ora molto legata a voi. Sono contenta che i miei rapporti con alcune di voi – nonostante le difficoltà linguistiche – siano cresciuti. Nei casi in cui io ho avuto voglia e energia per scambiarmi con alcune, ho vissuto da parte delle altre un’apertura che mi è piaciuta molto. Nelle situazioni difficili per me mi sono sentita considerata e sostenuta; per questo vorrei ringraziarvi, in particolare Antje e Agostino che mi hanno accompagnato “ufficialmente” durante il mio periodo di prova. Quando ero io a non avere  l’energia per andare dalle altre, sono state poche quelle nel gruppo che mi hanno cercata di loro iniziativa. Ciò significa che in generale ho scoperto che da parte mia sono necessarie molte energie per stabilire rapporti con le altre persone, per approfondirli e curarli, così come ho scoperto che non sempre dispongo di questa energia. Nonostante il mio sentimento di vicinanza nei vostri confronti, a volte mi sono sentita veramente fuori posto:

– mi manca quell’intreccio di rapporti amicali, politici e sociali che mi circonda nel Wendland (la regione dove vivo, caratterizzata da un ventennio di forte militanza politica soprattutto antinucleare); rapporti che qui, a parte Urupia, non ho;

– mi mancano quei luoghi che mi servono a rifare il pieno di energia e a ritrovare me stessa;

– mi manca la naturalezza con cui agire politicamente a livello pubblico; qui spesso non mi sento in grado di valutare in maniera adeguata gli eventi politici e di poter agire, il che mi fa sentire relegata nella sola sfera privata. Soprattutto avverto la forte limitatezza della mia condizione di donna nel Sud, che stride con la forte libertà di azione di cui godo e a cui sono abituata nel contesto del Wendland;

– mi mancano le mie amiche con cui condivido la stessa visuale “femminile”, visuale che qui spesso ho invece dovuto prima spiegare.

Questi sei mesi mi hanno dimostrato che sono molto più legata alle persone e al posto in cui vivo in Germania di quanto pensassi. Quando ho iniziato il periodo di prova a Urupia la cosa che mi chiedevo di più era: posso immaginarmi di vivere con queste persone in questo progetto, e soprattutto farlo qui in Italia? Continua a leggere

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Urupia – il Quotidiano

Una mia personalissima selezione di estratti da documenti pubblici di Urupia diffusi in anni passati e in parte ingiustamente dimenticati  (G.A.)

Da: Lettera aperta di Urupia, Luglio 1997

[…] Difficile è chiarire ad individui che vivono al di fuori della nostra realtà i diversi sentimenti che diversi individui provano nel nostro contesto. Mille sono gli stimoli che ogni comunarda dà e riceve quotidianamente; gli stati d’animo, solo per fare un esempio, non sono costanti, ma ondeggiano tra la soddisfazione e la sofferenza individuale, tra le aspettative per i propri sogni ed una realtà che ad alcune può sembrare troppo stretta e ad altre troppo grande per la propria tranquillità. In una realtà dove dominante, per forza di cose, è il lavoro, spesso proprio la relazione con esso diventa il metro per comprendere la diversità di stati d’animo e di modi di essere: si va da chi nella fatica trova il quotidiano godimento a chi nella fatica sente tutte le frustrazioni possibili, a chi, semplicemente, nel lavoro ha trovato la soddisfazione per la propria creatività.

Va da sé che in una realtà così complessa e differenziata è a volte difficile trovare l’equilibrio necessario per godere pienamente le piccole cose, sia nel lavoro che nella semplice quotidianità. Anche il mondo dei rapporti sociali ondeggia continuamente tra la collettivizzazione di tutti gli aspetti della vita e, spesso, un senso di solitudine profonda: a volte l’impossibilità di godere se stesse in mezzo alle altre porta facilmente a odiare la vita collettiva, aggravato questo sentimento dalla mancanza per alcune di uno spazio autonomo privato. Oltre a ciò, la diversità tra chi è riuscita a creare rapporti felici e profondi e chi no, tra chi riesce a mantenere tali rapporti e chi no, le differenze di aspettative dalle altre, la differenza di “riconoscimento” tra chi ne ha molto e chi ne ha poco (con tutta la sofferenza che ne deriva). […]

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Urupia: un’intervista inedita del 1996

non bisogna farsi ingannare dal numero delle comunarde, a tavola si è sempre molti di più,

Speravo che da qualche parte ci fosse ancora, ma dopo tanti anni e un paio di traslochi vai a capire dove sta, e invece, al quarto scavo tra i pacchi di carte che ho in casa, sono riuscito a riesumare un’intervista fatta ad Alessandra – e al tempo letta e approvata dalle comunarde – nella primavera del 1996. La rivista per la quale l’avevo fatta, una cosa inutile mezza da edicola e mezza da intellettuali, non la pubblicò perché la consegnai troppo tardi. La riporto integralmente, senza togliere neanche l’introduzione che feci allora, perché non l’ha praticamente letta nessuno e la considero un prezioso reperto archeologico sulla prima fase della comune, rivolto a un pubblico che si presumeva fosse a completo digiuno dell’argomento.

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