Grazie Giua’, avevamo bisogno di un terrone americano per fare un film sulla musica di Napoli – che poi è sempre stata la musica di tutti i meridionali che emigravano, mica solo di quelli campani – che avesse la possibilità di essere visto un po’ in giro per il mondo. Già per questo dobbiamo ringraziarti, e ancora di più per il tono lieve e non plastificato, la grande simpatia e la compartecipazione alla nostra meraviglia e alle nostre disgrazie che trasuda per tutto il corso della pellicola ma senza affettazione né le demonizzazioni o i toni patetici ai quali ci siamo abituati come ci si abitua ai calli o alla rogna. Avendoti amato per il pizzaiolo di fa’ la cosa giusta e poi mai più rivisto (ci vado proprio poco al cinema…) sono stato contento di rivederti così arzillo e scevro di cretinerie.
Com’è il film? Divertente, decisamente godibile e anche informativo. Chi non è mai stato qui oppure ha poco frequentato la musica napoletana scoprirà un sacco di voci, di melodie e soprattutto di persone.
Alcune le ho scoperte anche io come nuove o quasi. Conoscevo la gloriosa Phonotype ma l’intervista ai suoi vivaci proprietari è imperdibile, peccato sia così breve, speriamo prima o poi di poterla vedere in versione integrale. Grande sorpresa è stato Fausto Cigliano, nella mia memoria detentore di una bella voce ed esecuzioni classiche, ma troppo legato ad una dimensione alla dduje paravise, quel lato mezzo spensierato e mezzo nostalgico che fa parte della nostra cultura, ma che preso da solo diventa cartolinesco e anche un po’ melenso. La sua versione della amarissima Catarì è stata invece una lezione di impeccabile eleganza, ripresa – bellissima idea – davanti a Caravaggio ai Tribunali. Valorizzata al massimo nella voce e nella presenza, e se lo meritava, Barbarella Pietra Montecorvino – forse addirittura sovraesposta, come pure Rino Raiz Della Volpe, mucho mucho macho, ma sempre con stile, simpatico e bravo, niente da eccepire. E soprattutto ti sono riconoscente per aver finalmente dato a Peppe Barra lo spazio che gli spetta da decenni, uno che rispetto alle sue smisurate capacità e al suo talento, diciamo la verità, non ha raccolto molto, forse perché ha lavorato soprattutto in napoletano ed è uno dei pochi attori che continuano a vivere qui. E ancor di più per i minuti dedicati al raccontarsi del nostro amato James Senese che continua da più di quarant’anni a suonare e cantare con la stessa forza e senza perdere mai rabbia né spessore. L’ha fatta proprio lui Passione, non ci poteva essere scelta migliore.
Anche le scelte dei brani di repertorio – Sergio Bruni, Angela Luce (anche se ciò che è stato girato da Turturro con la Luce è stato eliminato dal film, lasciando solo il vecchio filmato di Bammenella), Renato Carosone – sono state ottime, e il siparietto malinconico dedicato a Totò di Massimo Ranieri e Lina Sastri (anche lei tagliata) ha enfatizzato la bravura di entrambi in maniera originale.
Altre partecipazioni sono comprensibili anche se non del tutto attinenti (Fiorello ad esempio rende certo più spendibile a livello nazionale il film) di altre non voglio proprio parlare perché sono totalmente fuori posto e non si capisce proprio che c’entrano con la canzone napoletana.
Comunque, nonostante qualche merluzzo bollito che andava attentamente evitato (ma certe scelte vorrei proprio capirle) , bravo Giua’, hai fatto una cosa buona.
Però t’hanno pure futtuto, e mo’ ti spiego perché.
Il tuo film è in gran parte ambientato in alcune zone popolari del centro storico, scelta più che apprezzabile anche se Napoli non è solo piazza Banchi Nuovi, ci stanno pure Pianura, Secondigliano e Poggioreale, tanto per dire, ma va bene così, il centro è più bello e siamo d’accordo. Quello che non funziona è che per tutto il film si parla di una città dove la musica sta per strada, per i vicoli, ascoltata e suonata dalla gente del popolo, quindi musica Popolare, nel senso vero del termine e con la P maiuscola.
I tuoi consiglieri e consulenti t’hanno fregato. Quella musica nel tuo film nun ce stà. Nei vicoli di Napoli non si sente né Mina né Enzo Avitabile, si sente altro, qualcosa che non ti hanno fatto ascoltare. Non ti hanno fatto ascoltare Mario Merola, che è uno che era davvero la voce degli emigranti, che ha interpretato più di venti film che tutti conoscono, nonostante gli anni passati, e al suo funerale aveva ventimila persone a piangere e applaudirlo. Ancora vivo e vegeto è invece Pino Mauro, l’altro re della sceneggiata, con lui sì che potevi girare qualcosa di memorabile, altro che quei merluzzi. Poi ci sta un altro tipo, che quando il tuo connazionale Miles Davis lo sentì dentro a un taxi a Napoli si fece accompagnare a comprare i suoi dischi perché capì che quella era musica davvero altra, diversa per uno che veniva dagli Usa. Ora cerca di far funzionare un teatro a Forcella, ma gli mettono i bastoni fra le ruote, se la meritava una citazione, forse. Si chiama Nino D’Angelo, ha venduto milioni di dischi ed è stato forse il cantante più amato a Napoli dopo Bruni e Merola. Continua a fare musica e teatro che con il tempo migliorano, peccato non te li abbiano fatti sentire. E sai perché non te li hanno fatti sentire? Perché è vero che nei vicoli c’è una sviscerata passione per Merola e D’Angelo, ma c’è altra gente, che non vive nei vicoli, che li odia, o li odiava – detestano il popolo e ciò che il popolo ascolta. Ho usato il passato, “li odiava” perché oggi il loro odio si è trasferito su altri. Innanzitutto su Gigi D’Alessio, un’altro con una voce incredibile che ha fatto diversi dischi in napoletano e ad un certo punto ha cominciato a cantare in italiano avendo un enorme successo, ma resta uno che cantava nelle feste di piazza, ai matrimoni, e in fondo continua ad appartenere ad un mondo che secondo questa gente istruita, educata e benestante va nascosto, occultato, dimenticato. Ma di nomi di quelli che cantano la vita quotidiana ce ne sono centinaia e non voglio fare elenchi. Ma credimi, Giua’, dedicare cinque minuti del tuo film a Mimmo Dany l’avrebbero reso una leggenda, è uno con una presenza scenica che si mangia a colazione una mezza dozzina di quelli che ti hanno propinato i tuoi pessimi consiglieri.
T’hanno incastrato Giua’, il lavoro è fatto bene, è pieno di buone intenzioni, è intelligente.
Ma purtroppo hai sbagliato soci e quindi la musica del popolo, mi dispiace, dint’o film nun se vere e, soprattutto, nun se sente.
Giuseppe Aiello, 28 novembre 2010
Peppì, c’era bisogno di questa antica verità che spiegasse l’attualità del’odio dei giacobini verso il popolo… e con l’aneddoto di Miles e Nino D’Angelo mi sentirò più “coperto” quando gli amici mi chiedono schifati “marò, tua figlia si sente a Alessio con un padre musicista comm’a te!” e io rispondo “m’o sent’ pur’io”.
In questa tua lettera c’è la chiave di tutto.
Dav