Yi Wa O – Andatevene e lasciateci in pace

L'articolo e la traduzione che seguono sono stati scritti e pubblicati nel 2001 su Terra Selvaggia, dunque per "26 giugno" si intende quello del medesimo anno. Devo dire che purtroppo in questi anni niente è cambiato e di informazione su Papua come su tante altre lotte di liberazione è praticamente nulla, gli stati continuano a sterminare i primitivi nel silenzio generale. [G.A., giugno 2007]
 
 
Il 26 giugno a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, in occasione delle manifestazioni contro il Fondo Monetario Internazionale tre persone vengono uccise, e almeno 16 ferite dai proiettili della polizia. Dieci giorni prima la polizia aveva sparato contro i dimostranti a Göteborg che protestavano contro il vertice dell'Unione Europea, ferendo gravemente un ragazzo che per fortuna si è poi salvato e non sembra riporterà conseguenze, e insieme a lui altre due persone, in modo più lieve. Nel secondo caso l'evento ha occupato tutte le prime pagine dei giornali, e se stenterà a permanere nella memoria collettiva sarà solo per il sopravvenuto omicidio di Carlo Giuliani a Genova. Viceversa dei dimostranti ammazzati in Papua N.G. non parla praticamente nessuno. È sempre stato così, alcuni morti pesano come il piombo, altri sono leggeri come il polistirolo, di altri ancora non ce ne si ricorda neanche per un breve momento. In un tempo di polverizzazione dei conflitti non c'è da scandalizzarsi se i mezzi di comunicazione scelgono di interessarsi maggiormente o esclusivamente ai decessi più interessanti o più vendibili al pubblico pagante. C'è pero da chiedersi – sempre – il perché di certe scelte escludenti, il perché ad esempio si parli moltissimo di Palestina, non troppo del Kurdistan e per altre zone e popolazioni in guerra il silenzio sia invece assoluto.
Uno dei casi più significativi è quello della guerra che i nativi di Papua Ovest stanno combattendo contro l'esercito indonesiano, contro la distruzione della foresta e con questa del loro modo di vivere, contro la civiltà e contro lo sviluppo. Già in questo c'è a mio avviso una risposta al perché di tutto il silenzio che circonda quella carneficina. Evitiamo equivoci: tra gli abitanti delle foreste di Papua Ovest pochissimi si definiranno anarchici ed è altamente improbabile che qualcuno di loro abbia letto Bakunin o Malatesta.

 
Più che essere primitivisti per aver letto Zerzan sono primitivi perché hanno sempre vissuto con pochi vestiti, poco denaro, niente stato. La loro non è come la nostra critica teorica, un profluvio di parole alle quali si accompagnano timidi (importanti ma pur sempre timidi) vagiti di applicazione pratica. È una critica pratica, è un modo di vivere che nega con la sua stessa esistenza l'ineluttabilità dello sviluppo democratico-capitalista. Nessuno può dire che il loro voler vivere senza Stato è una follia, un'utopia, che è impossibile, come fanno con noi. Loro, semplicemente vivono da sempre così e così vorrebbero continuare a vivere. E questo per il potere politico/economico è inaccettabile, quindi stanno cercando di convincerli a cambiare atteggiamento, ad accettare "un più razionale utilizzo del territorio", le meraviglie dello sviluppo e della civiltà. Probabilmente i politici di Jakarta riusciranno nel loro intento: la loro tecnica di persuasione passa per soldati armati di mitragliatori, e i nativi Papua hanno solo archi e frecce, capirete che rispondere a tono non è facile.
Sulle carte geopolitiche l'isola di Papua è divisa in due da una lineetta dritta dritta, parallela al 140° meridiano orientale, artificioso confine eredità del periodo coloniale: il settore ad est, noto come Papua Nuova Guinea costituisce una nazione indipendente nell'ambito del Commonwealth, sotto la diretta influenza economico-politica dell'Australia. La parte occidentale costituisce ufficialmente la provincia indonesiana di Irian Jaya, per i suoi abitanti è invece Papua Ovest. Nel 1963 questa ex colonia olandese fu invasa dall'Indonesia interrompendo un probabile processo di autodeterminazione. Le promesse del governo di Jakarta di concedere l'indipendenza sono ovviamente restate lettera morta. Da allora sono state ammazzate 300.000 persone: chiunque si opponga al governo indonesiano, pienamente sostenuto dall'occidente, ed in particolare dagli USA e dalla Gran Bretagna, viene ucciso.
Il governo indonesiano gode a Papua Ovest di un'ostilità molto diffusa, i suoi soldati sono visti come appartenenti ad un esercito di occupazione, e tuttavia non c'è nessuna intenzione di ritirarsi dall'isola, per almeno un paio di buoni motivi. Il primo è che è veramente difficile che uno stato rinunci al controllo di un territorio su richiesta scritta della gente che ci abita, senza mettere prima in pratica un qualche massacro (basti pensare a Timor Est). Il secondo è lo sfruttamento delle risorse naturali di Papua Ovest, in parole semplici, la distruzione del suo ecosistema in cambio di denaro e potere. Qualche esempio chiarificatore. La Conoco ha una concessione per le esplorazioni petrolifere per 150.000 ettari nel parco nazionale di Lorentz; la miniera di Freeport è la più grande miniera di rame del mondo dove ogni giorno si estraggono 210mila tonnellate di minerali ed è soprattutto il nel complesso il maggior contribuente dello stato indonesiano; la Pertamina (compagnia petrolifera nazionale indonesiana), la statunitense Atlantic Richfield (ARCO) e la britannica BG Group prevedono di rendere operativo per il 2004 un progetto per lo sfruttamento delle enormi riserve di gas di Papua Ovest che comprende l'estrazione del gas e la costruzione di otto impianti di liquefazione.
Di fronte alla potenza della macchina bellica indonesiana ci sono diversi tentativi, differenti e a volte in contrasto tra loro, per opporsi al genocidio papua.
Nel corso del 2000 le speranze suscitate dal processo di moderata democratizzazione dell'Indonesia, con un'oscillante politica di piccole concessioni, hanno portato alla costituzione di un gruppo di moderati, denominato PDP (Presidium Dewan Papua o Papuan Presidium Council). Il compito del PDP sarebbe stato quello di internazionalizzare la causa papua e di imbastire un dialogo con il governo indonesiano nel tentativo di ottenere l'indipendenza. Poiché gran parte della popolazione non aveva intenzione di assistere passivamente a delle trattative politiche ma agiva in direzione di un'effettiva riappropriazione del territorio la repressione è stata durissima.
La bandiera papua viene messa fuori legge, l'esercito indonesiano entra nei villaggi per togliere quelle bandiere, arrestando e sparando a chiunque cerchi di difenderle, e ammazza sette persone a Merauke e due a Fak Fak. Il sette ottobre a Wamena, durante le proteste seguite all'intervento di poliziotti che avevano tolto una bandiera, due persone sono state uccise e 21 ferite. I soldati, alcuni dei quali essi stessi papuani, reclutati da Biak e Serui, sparavano su donne e bambini che scappavano e mitragliavano indiscriminatamente tra i cespugli, usavano le baionette per aggredire sessualmente i prigionieri e li costringevano a bere dell'orina. La popolazione della valle di Baliem ha reagito e migliaia di persone hanno occupato il ponte di Wamena's Wama; le autorità hanno risposto sparando per uccidere, ed alla fine del giorno successivo i morti erano trenta, compresi immigrati indonesiani uccisi per rappresaglia. C'è la testimonianza di un caso in cui i soldati hanno preso una famiglia, fatto i bambini a pezzi e poi li hanno dati in pasto ai cani. Il sette dicembre poliziotti e soldati assaltano l'università di Abepura, in rappresaglia per l'attacco subito a Jayapura da poliziotti che stavano togliendo una bandiera da parte di Papua inferociti. Gli studenti, per lo più provenienti da tribù simpatizzanti per l'organizzazione guerrigliera OPM (Organisasi Papua Merdeka – Free Papua Movement), vengono trascinati via mentre stanno dormendo: ad uno sparano sul posto, uccidendolo, altri due li ammazzano con le baionette. Ad Uri Dorongi, di 19 anni, uno dei 101 arrestati, viene sfondato il cranio in cella. Nell'arco di un anno i morti sono stati 50, con centinaia di persone arrestate, ferite o "scomparse". I pestaggi e le feroci torture sono la norma.
Il progetto del PDP – che ha fatto ripiegare la lotta papua come questione interna indonesiana – è stato considerato fallimentare sia dall'OPM  che dal Consiglio degli Anziani della tribù dei Dani che hanno dichiarato che la lotta armata resta l'unica opzione valida per liberare Papua Ovest. Con archi, frecce e pochi vecchi fucili attaccano le compagnie che abbattono gli alberi per il commercio del legno e combattono contro i soldati che dominano, grazie alle armi, sulle strade ma non nella foresta dove i guerriglieri hanno la meglio.
La partita è forse disperata, perché è la troppa disparità tra le forze in campo, perché la stessa parziale integrità del territorio di Papua Ovest fa sì che esista una grande varietà di tribù con contatti piuttosto scarsi tra loro – e quello che è ricchezza e varietà, nello scontro con il leviatano militare diviene punto di debolezza.
Da questa lotta possono venire a noi però, qualsiasi ne siano gli esiti, molti spunti, nella lotta contro le multinazionali ma anche nella consapevolezza che il dominio ideologico dell'idea di sviluppo, di civiltà, di progresso tecnologico è uno dei principali nemici della libertà. Riporto a seguire la parziale traduzione di un documento del gruppo di sostegno di Brighton – dal quale provengono le informazioni utilizzate nell'articolo – che è sicuramente più efficace di quello che potrei scrivere io.
 
Giuseppe Aiello (2001)
In quanto eco-anarchici noi dell'OPM SG di Brighton non sosteniamo lotte di "liberazione nazionale". Questa non è una pignoleria ideologica. La maggior parte della gente di questo pianeta vive in paesi "liberati" dalle lotte anticoloniali. Milioni di coraggiosi lavoratori e contadini hanno sacrificato se stessi per la "liberazione nazionale". Quello che hanno ottenuto è stata per lo più  la libertà di essere oppressi e sfruttati da una classe manageriale emergente autoctona. La "liberazione nazionale" edifica stati nazione occultando i conflitti di classe dietro il paravento dell'ideologia nazionalistica. La stessa Indonesia si è forgiata nel fuoco della guerriglia di liberazione nazionale contro gli olandesi ed i giapponesi.
Spesso i radicali dei paesi occidentali proiettano sui movimenti del terzo mondo un'immagine che riflette più quelle che sono le loro proprie ideologie che non le reali aspirazioni dei movimenti stessi. Per comprensibili ragioni di sopravvivenza e di diplomazia molte organizzazioni del terzo mondo contribuiscono a questo stato di cose facendo affermazioni differenti  a diversi gruppi o restando vaghe a sufficienza da poter essere considerate da ognuno un po' come vuole. È questo anche il caso di Papua Ovest?
Le montagne e le giungle di Papua sono abitate da una delle più diversificate popolazioni della terra. Si stima che un milione circa di abitanti di Papua Ovest, pur essendo lo 0.1% della popolazione mondiale, abbiano complessivamente un numero di linguaggi pari al 25% di tutti quelli noti. Alcune tribù vivono lontane dalla civilizzazione (che letteralmente significa "la cultura delle città") conducendo una soddisfacente vita di sussistenza. Altri vivono nei pressi delle strade o nelle città costruite dagli indonesiani ed hanno visto la loro terra distrutta dall'estrazione mineraria, petrolifera e dal disboscamento. In alcuni posti i missionari hanno fatto in modo che i papuani abbandonassero la loro cultura e i loro (non)abiti tradizionali mentre in altri casi vengono ancora aggrediti se si provano a diffondere la
buona novella!
Sarebbe ridicolo affermare che tutti i papuani hanno la medesime idee sulla loro lotta. Infatti alcuni di loro non sanno che c'è una lotta, non sanno che esiste l'OPM e non sanno neanche che esiste l'Indonesia. Una parte del bagaglio del "nazionalismo rivoluzionario" del 20° secolo ha influenzato l'OPM – bandiere innalzate, pomposi titoli militari, nel passato persino qualche traccia di marxismo. Complessivamente comunque l'OPM ha molto più in comune con la resistenza dei nativi americani nel west che con la guerriglia leninista nel Kurdistan.
Nella lotta contro il leviatano esiste sempre il pericolo che quelli che resistono al mostro diventino mostri essi stessi. C'è uno stato che aspetta di nascere all'interno dell'OPM? È possibile ma, secondo noi, improbabile. Ci sono molti fattori che giocano a sfavore di uno sviluppo dell'OPM come "liberazionisti nazionali". I guerriglieri dell'OPM sono sparsi sul territorio e se hanno un certo numero di capi non hanno nessun comando centrale. Amano la terra e detestano le città. Chiedono la fine del disboscamento e dell'estrazione mineraria, non di partecipare ai profitti che ne derivano. Nessuno stato nazione di dimensioni significative sostiene la lotta di Papua Ovest – l'unico aiuto che hanno è da parte di gruppi indigeni del Pacifico e dalla rete anarco-ecologista. La diversità delle loro culture tribali e la geografia della loro terra contrastano con la formazione di uno stato. Difendono la tradizione e rifiutano in buona parte il moderno. La loro prima richiesta resta –
Lasciateci soli!
In ogni caso non è impensabile che una élite manageriale di nativi possa essere costituita da papuani in esilio, alcuni appartenenti all'OPM e membri del PDP. Nell'OPM ci sono persone che simpatizzano per l'anarchismo e che, con le parole e con i fatti, hanno sinora fatto in modo che ciò non si verificasse. Quella dell'OPM è essenzialmente una guerra di gente senza stato, gente anarchica, contro la distruzione della loro terra da parte della macchina industriale globale. Fino a quando le cose staranno in questo modo è nostra responsabilità, come radicali nel cuore dell'impero che li sta attaccando, aiutarli in qualsiasi modo possiamo.
 
OPM SG – Brighton

[per informazioni e contatti: www.eco-action.org/opm/; desidero ringraziare Silvano Pelissero per avermi messo a conoscenza dell'esistenza dell'OPM Brighton e della lotta delle popolazioni di Papua Ovest delle quali non sapevo nulla, G.A.]
Questa voce è stata pubblicata in 2 - Sviluppozero. Contrassegna il permalink.