Urupia – il Quotidiano

Una mia personalissima selezione di estratti da documenti pubblici di Urupia diffusi in anni passati e in parte ingiustamente dimenticati  (G.A.)

Da: Lettera aperta di Urupia, Luglio 1997

[…] Difficile è chiarire ad individui che vivono al di fuori della nostra realtà i diversi sentimenti che diversi individui provano nel nostro contesto. Mille sono gli stimoli che ogni comunarda dà e riceve quotidianamente; gli stati d’animo, solo per fare un esempio, non sono costanti, ma ondeggiano tra la soddisfazione e la sofferenza individuale, tra le aspettative per i propri sogni ed una realtà che ad alcune può sembrare troppo stretta e ad altre troppo grande per la propria tranquillità. In una realtà dove dominante, per forza di cose, è il lavoro, spesso proprio la relazione con esso diventa il metro per comprendere la diversità di stati d’animo e di modi di essere: si va da chi nella fatica trova il quotidiano godimento a chi nella fatica sente tutte le frustrazioni possibili, a chi, semplicemente, nel lavoro ha trovato la soddisfazione per la propria creatività.

Va da sé che in una realtà così complessa e differenziata è a volte difficile trovare l’equilibrio necessario per godere pienamente le piccole cose, sia nel lavoro che nella semplice quotidianità. Anche il mondo dei rapporti sociali ondeggia continuamente tra la collettivizzazione di tutti gli aspetti della vita e, spesso, un senso di solitudine profonda: a volte l’impossibilità di godere se stesse in mezzo alle altre porta facilmente a odiare la vita collettiva, aggravato questo sentimento dalla mancanza per alcune di uno spazio autonomo privato. Oltre a ciò, la diversità tra chi è riuscita a creare rapporti felici e profondi e chi no, tra chi riesce a mantenere tali rapporti e chi no, le differenze di aspettative dalle altre, la differenza di “riconoscimento” tra chi ne ha molto e chi ne ha poco (con tutta la sofferenza che ne deriva). […]

 

Da: Lettera aperta di Urupia, Luglio 1997 (Il gruppo)

Il problema più grosso al livello della gestione della vita sociale del gruppo è, come un anno fa, ancora quello della diversità. Ne parlavamo già l’anno scorso e, pensandoci, abbiamo la chiara percezione che qualcosa si è mosso e continuerà sicuramente a muoversi. L’immagine che si potrebbe dare  è quella di un certo numero di palline che vengono scosse ripetutamente in una scatola: ogni giorno capita di provare rabbia, rancore, ma anche dolcezza e sentimenti di estrema vicinanza per un’altra comunarda, sempre alla ricerca di una tranquillità sentimentale per se stesse e per le altre.

Rispetto a quello che, molto genericamente, si diceva un anno fa, ci sentiamo di dire che tutte le individualità del gruppo hanno la chiara percezione che ogni comunarda ha portato nella comune, oltre al proprio corpo ed ai propri beni, un proprio bagaglio di vita. E se nel primo anno, in caso di un conflitto, ci si fermava alle apparenze superficiali, man mano la dimensione si allargava e si approfondiva nello stesso tempo e veniva fuori tutto quello che, con una punta di orgoglio, chiamiamo “il bambino che è in noi”, e naturalmente quello che è nelle altre. Ormai all’interno del gruppo c’è una certa conoscenza di se stesse e delle altre che ci porta a dire che conosciamo i bisogni, i limiti le gioie e i dolori, le angosce dei singoli individui, almeno parzialmente.

È un viaggio non semplice ma sempre più riconosciuto come necessario. È un viaggio che deve, per noi, continuare. Per cui, senza entrare nell’ordine mentale della terapia di gruppo, abbiamo individuato un appuntamento settimanale in cui ci prendiamo lo spazio per esprimere collettivamente sentimenti, angosce, conflitti, etc., riconoscendo che tutto ciò gioca un ruolo importante nella vita quotidiana del gruppo e nella ricerca di un suo equilibrio. È un inizio, ma anche un bell’inizio, ne siamo convinte.[…]

Da: C’è bisogno di persone diverse per fare una comune. Cinque anni di Urupia – una comune aperta nel Salento (a cura di Karin Berger & Frank Brexel), Maggio 2000.

– Cosa ti ha sorpreso di più vivendo nella comune? Cosa ti immaginavi di diverso?

Rolf – All’inizio avevo l’aspettativa che vivendo e lavorando insieme ci fosse la possibilità di creare dei rapporti molto intensi tra di noi. Quello che forse mi ha sorpreso di più è stata la difficoltà di conservare nel corso degli anni a vicinanza vissuta ei primi tempi. Oggi mi pare che il grande contatto quotidiano non ci dà solo la possibilità di sentirci vicini, ma anche ce lo impedisce e produce anche distanze.

Manuela – La bontà, non voglio dire tolleranza perché non è giusto, la bontà delle persone che vivono qui ed anche l’apertura e la disponibilità, che continuano a stupirmi. Soprattutto nell’ultimo periodo, quando c’erano parecchie difficoltà con i nuovi ospiti, ho visto molta disponibilità da parte delle comunarde a mettersi in discussione e anche a confrontarsi con gli ospiti.

Antonio – Mi ha sorpreso l’incapacità di saper vivere, e questa penso che è una cosa molto difficile per tutti, di vivere sempre insieme, gomito a gomito, insieme ad altri, mantenendo quell’entusiasmo, quell’allegria che è necessaria per poter vivere in una comune e che purtroppo, per una serie di ragioni, non è possibile avere.

Da: C’è bisogno di persone diverse per fare una comune.. Cinque anni di Urupia – una comune aperta nel Salento (a cura di Karin Berger & Frank Brexel), Maggio 2000.

 – Se potessi ricominciare da capo, cosa faresti di diverso?

Rolf – Io credo che cercherei un posto dove la struttura degli edifici sia meno compatta, più decentralizzata. Perché io a volte vivo la comune – per usare una parola forte – anche come una prigione. Penso che come noi qui viviamo è difficile trovare un equilibrio tra i momenti di vita collettivi desiderati e i necessari momenti privati. Troverei importante, sia per me stesso che per il mantenimento ed il futuro del progetto – e date le condizioni iniziali – stabilire un migliore equilibrio.

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