Urupia – da che parte stiamo

Agli organizzatori e alle organizzatrici dell’edizione di Pigna & Wine (Sanremo, 10 e 11 marzo 2012).

Con la presente, intendiamo comunicarvi la nostra decisione di non partecipare più all’evento da voi organizzato per il 10 e l’11 marzo a Sanremo, al quale in un primo tempo avevamo aderito.

Le ragioni della nostra iniziale adesione sono, forse, facili da intuire: Urupia da anni produce –tra le altre cose- diversi tipi di vino e li distribuisce praticamente solo all’interno di circuiti di consumo ‘consapevoli’, senza subire o accettare alcuna mediazione che non sia il contributo totalmente volontario ed autogestito di compagne e compagni che condividono gli intenti e gli ideali del nostro progetto.

Fuori dai contesti commerciali, poche sono ormai le occasioni in cui sia possibile ‘parlare’ di vino – e degustarlo, e venderlo (o acquistarlo)- in una logica aliena ai peggiori meccanismi del mercato, più interessata al sostegno di pratiche di vita e di lavoro autenticamente alternative che alla semplice apertura di uno sbocco commerciale per il proprio prodotto o alla realizzazione di un guadagno economico.

Per questo, sin dalla prima edizione del Critical Wine a Verona (al centro sociale occupato La Chimica, nel lontano 2002, se non ricordiamo male) abbiamo seguito con attenzione questo tipo di eventi e spesso vi abbiamo partecipato (in alcuni casi anche con entusiasmo e con totale adesione).

Urupia vive del proprio lavoro: lavoro nei campi, nei laboratori, nella società; ma questo lavoro Urupia conduce –o tenta di condurre- in una maniera che sia il più coerente possibile con i propri ideali -che sono ideali di giustizia, di autogestione e di libertà.

E veniamo al punto: non ci sembra che questi ideali possano essere rispettati in un contesto nella cui organizzazione agisce una associazione come “Libera”, la quale sostiene e difende una concezione della “legalità” oggi più che mai funzionale ad un sistema che opprime e sfrutta le classi sociali più deboli e reprime ferocemente quanti cercano di opporsi alla sua arroganza e alla sua impunità. Continua a leggere

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Cibo e potere – che c’entra lo zucchero con il dominio?

«Complottista!»

Non lo ha detto proprio così perché mi vuole bene, ma lo so che ne è convinto, pensa che io faccia parte di quella schiera di anime in pena che vede ovunque demoni del male che macchinano ai nostri danni – o meglio, circoli ristretti di uomini (onni)potenti che nell’oscurità organizzano presente e futuro dei popoli, scie chimiche, microchip nella scatola cranica e grattacieli niuiorchesi sfarinati con la gente dentro. Ma dopo aver letto “Il mistero” a Gregorio è parso necessario puntualizzarmi di persona che non lo convince questa immagine che dipingo di una congiura ai danni dei popoli consumatori. Cosa posso rispondere? Niente di originale, non molto di differente da quello che potrebbe rispondere Chomsky: non è cospirazione, è organizzazione.

Pensiamo che Mattei si sia scontrato in volo con un piccione? Che Calvi si sia suicidato per una depressione causata dallo scudetto fraudolentemente scippato dalla juve alla fiorentina? Che Sindona non tollerava il caffé ed è deceduto per shock anafilattico?

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Non ho mai trovato nessuno che si vergogni del suo operare

Un gesto di distruzione ha sempre un suo fascino perché bene o male rompe con le convenzioni. E anche se lo sbagli non ti senti mai piccolo. Non ho mai trovato nessuno che si vergogni del suo operare.

Giorgio Gaber, La cacca dei contadini da: Libertà obbligatoria, 1976.

Ma operare non è solo distruggere, anche costruire è “operare”,  ed è proprio vero, è difficile che ci si penta del proprio operare. Anche in quei rari casi in cui un pentimento affiora non ci si vergogna della propria opera.

Ma fare, costruire, produrre, come?

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Fare libri

Ma mettersi a fare libri di questi tempi ha un qualche senso o è solo una manifestazione di disagio mentale di gente che sta ancora con i piedi nel millennio scorso e non si vuole rassegnare agli inevitabili cambiamenti che rendono la carta obsoleta e le librerie meri depositi di scorie di cellulosa che si affollano durante le vacanze natalizie solo per placare l’angoscia dell’oddio è il 23 dicembre e devo fare ancora tutti i regali?

Proviamo a propendere per la prima ipotesi e vediamo se può essere basata su qualcosa di ragionevole oppure no.

Entriamo in una libreria, né piccola né media, una grande, o grandegrande, a Napoli c’è Feltrinelli, andiamo là.

Immaginiamo di togliere dagli scaffali i libri editi da Feltrinelli, poi quelli del gruppo RCS (cioè Rizzoli CorSera, Bompiani, Fabbri, La Nuova Italia, Sonzogno, Sansoni, Marsilio e molto altro), da Mauri Spagnol (Boringhieri, Garzanti, Longanesi etc.) e da Mondadori (Einaudi, Sperling & Kupfer, Piemme e, ovviamente, Mondadori).  Sono solo i 4 principali produttori italiani di libri.

Che ci resta?

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Jean-Marc Rouillan – Odio la mattina

Da recluso, ogni mattina mi sono seduto davanti a una macchina da scrivere, poi, una volta passato in giudicato, davanti a un computer. Così, giorno dopo giorno, la scrittura si è trasformata in una disciplina che mi imponevo per contrastare il feroce rigore dei miei carcerieri. Comunque sia, questo non fa di me uno “scrittore”.

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George Jackson – I fratelli di Soledad

Al cantagiro del 1967 il greco che l’anno prima era entrato a far parte de I Ribelli cantava: “La mia salvezza sei tu / sei l’acqua limpida per me / il sole tiepido sei tu, amore / torna / torna qui da me”, nella romantica Pugni chiusi che arrivò nel settembre di quell’anno fino al 15° posto di una classifica di vendite che vedeva Albano, Celentano e i Procol Harum contendersi i gradini più alti. Fu quello il miglior risultato commerciale de I Ribelli con Demetrio Stratos alla voce.


Sette anni dopo al 39° posto, invisibile alla hit parade, c’è un altro 7″, davvero curioso da pensare come successo pop. Sul lato A di questo strano dischetto realizzato per sostenere le spese legali dell’anarchico Giovanni Marini, che si trovava in carcere per essersi difeso (efficacemente) da un’aggressione fascista, c’era L’Internazionale eseguita dagli Area, in una versione che al compagno Ceausescu pare non piacque. Sul lato b un brano ostico, Citazione da George L. Jackson, dove il nostro greco recitava: “Non ho versato una lacrima / sono troppo fiero per farlo / un bellissimo uomo bambino / con un fucile automatico in mano / lui sapeva come essere col popolo / ho amato Jonathan / ma la sua morte ha solo rafforzato / la mia volontà di lottare”.


I tempi cambiavano velocemente, ciò che accadeva incideva nella vita delle persone, e un ragazzo che era avviato a diventare una popstar poteva scegliere di cambiare percorso ed essere la voce di un afroamericano ammazzato in un carcere statunitense. Continua a leggere

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Chi ha incastrato John Turturro? A proposito di Passione di John Turturro – una specie di lettera aperta che Turturro non leggerà mai

Grazie Giua’, avevamo bisogno di un terrone americano per fare un film sulla musica di Napoli – che poi è sempre stata la musica di tutti i meridionali che emigravano, mica solo di quelli campani – che avesse la possibilità di essere visto un po’ in giro per il mondo. Già per questo dobbiamo ringraziarti, e ancora di più per il tono lieve e non plastificato, la grande simpatia e la compartecipazione alla nostra meraviglia e alle nostre disgrazie che trasuda per tutto il corso della pellicola ma senza affettazione né le demonizzazioni o i toni patetici ai quali ci siamo abituati come ci si abitua ai calli o alla rogna. Avendoti amato per il pizzaiolo di fa’ la cosa giusta e poi mai più rivisto (ci vado proprio poco al cinema…) sono stato contento di rivederti così arzillo e scevro di cretinerie.
Com’è il film? Divertente, decisamente godibile e anche informativo. Chi non è mai stato qui oppure ha poco frequentato la musica napoletana scoprirà un sacco di voci, di melodie e soprattutto di persone. Continua a leggere

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I talebani della crescita

Chissà se esistono davvero, i talebani afgani. Certo gente che si è definita con questo nome ci sarà, e i budda di Bamiyan qualcuno li avrà pure buttati giù, ma chi siano “davvero” questi talebani è arduo dirlo, impossibile da qui. Come se uno di Pechino volesse capire cos’è un cattolico italiano. Da lontano, superficialmente, sembra facile, poi a guardare da vicino si vede che senza l’appoggio degli americani i talebani non avrebbero avuto nessuna possibilità di prendere il potere ― eppure oggi ne sembrano feroci nemici. Chissà, forse andando in Afghanistan e restandoci per un po’ qualcosa in più si potrebbe capire, ma in fondo è anche questa un’illusione, poiché non è che uno viene in Italia, ascolta le ragioni e le motivazioni di un certo numero di eminenti e praticanti cattolici (Ruini, Della Sala, Buttiglione, Zanotelli, Formigoni, Andreotti…) si chiarisce le idee, anzi, se ne va più confuso di prima, soprattutto se desidera investigare sul loro agire. Però il termine ha riscosso una grande popolarità, cosicché oggi talebano va universalmente ad indicare una persona fanatica, intransigente, tendenzialmente aggressiva e sorda a qualsiasi motivazione che non collimi esattamente con il proprio apparato ideologico. Dunque, difficile dire che mai vorranno i talebani afgani, ma in compenso si può sapere cosa vogliono, o almeno cosa esprimono, alcuni nostri talebani.
Il più impressionante  – per l’ossessione che l’ha pervaso durante la campagna elettorale – è stato il capo del partito democratico, Walter Veltroni, il quale si è proposto come candidato numero uno all’ambita carica di gran mullah dei talebani della crescita. Ovviamente proviene dalle file del partito comunista – burocrate della fgci negli anni settanta, poi burocrate del pci negli anni ottanta – e altrettanto ovviamente negli anni novanta ha asserito di non essere mai stato comunista. Uno di cui potersi fidare.
 
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Appello elettorale

Napoli, Aprile 2008

Nonostante le apparenze la situazione, benché di non facile interpretazione, o forse proprio perché di non facile interpretazione, induce ad un cauto ottimismo. Ciò sia per le innovazioni che questi tempi ci stanno proponendo, sia per la rassicurante ed incoraggiante continuità con il passato.
Tanto per cominciare il centrosinistra ha governato per ben due anni  e noi siamo ancora vivi.
Non solo, ma abbiamo pure imparato un sacco di cose.
Per esempio, abbiamo imparato che un compagno verde ecologista, strenuo difensore delle terre selvagge ed incontaminate quando si trova all’opposizione, una volta ministro dell’ambiente ritiene che l’avanzata dei rifiuti vada contrastata con soluzioni innovative come il ripristino di una  discarica a Pianura o il completamento dell’inceneritore di Acerra. D’altronde va detto che lui è paladino degli habitat selvaggi ed incontaminati – Pianura e Acerra si presentano, è vero, piuttosto selvagge, ma in quanto ad essere incontaminate, non ci siamo proprio.

 
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Specismo e Antispecismo – saranno idee nuove, ma sono davvero buone idee?

 

L'otto agosto 2007, Eva Melodia, ha così commentato "un passo avanti, tre salti indietro":

Trovo non sia esatto che nessun movimento si stia immettendo nell'impopolare sentiero di cui si parla. Piuttosto bisogna prestare attenzione ai movimenti emergenti, alle correnti emergenti,  e aprire un tantino la testa per riuscire ad avere una visione veramente a tutto tondo dei fenomeni che dobbiamo contrastare ma soprattutto delle loro cause. Che non lo stiano facendo  partitito e politichini è normale. Praticamente tutte le ideologie attualmente istituzionalizzate sono obsolete e completamente inutili per affrontare i veri problemi dell'umanità. In un certo  senso fin'ora abbiamo scherzato. Adesso il gioco è veramente duro, e quattro ideucce di destra o di sinistra si rivelano veramente ridicole rispetto al casino globale sempre più evidente.  Servono idee nuove. Serve guardare in faccia la realtà. I tre salti indietro non sarebbero che un "metodo", l'unico forse, ma senza cambiare testa e avere una visione realista di cosa ci ha  portato fino a questo delirio, non è un metodo attuabile. Per quel che mi riguarda la realtà si chiama "specismo", la testa che cambia "antispecismo", il metodo è da trovare e in fretta.  I punti assolutamente da attuare: 1. Disarmo totale nucleare 2. Decrescita numerica di individui fino ad un massimo di un terzo del numero ad oggi registrato (ipotesi approsimativa di  sostenibilità) 3. Disgregazione dei centri urbani 4. Tornare ad una economia di sussistenza tanti altri punti che non cito per non rovinare la cena a nessuno, tanto basta collegare il cervello  per capire quali sono gli altri punti. E gli effetti più che ovvi. Ciao ciao alla play station e a tante altre cosucce. Lo so che a quelli col suv viene da ridere o l'ansia, ma bisognerebbe che  pensassero a quanto siamo disposti a pagare quello che ora in maniera ridicola chiamiamo benessere e a fare pagare ai nostri figli, (e non necessariamente tra molto tempo) in termini di  guerre, carestie, malattie da inquinamento, follia, mancanza di dignità. Saluti e baci Eva Melodia

Cara Eva Melodia,
spero tanto che tu abbia ragione e che quanta più gente è possibile riesca a percepire come il modello di vita che viene propagandato con modalità ossessive stia divenendo giorno per  giorno una specie di bomba ad orologeria, che sarebbe poi quello che tu chiami "guardare in faccia la realtà". A dire il vero non so se si tratti di ideologie obsolete e se davvero servono "idee nuove". Come ho già scritto, l'internazionalismo non è certo un'idea nuova. Che l'abolizione delle frontiere sia uno dei compiti più urgenti per chi voglia tentare di avvicinarsi ad un mondo  più tollerabile di questo non costituisce per niente un'intuizione recente, ma dovrebbe essere un patrimonio acquisito. E invece tutti a parlare di patria, di nazione, di tradizione, di etnie, come se fossero valori capaci di difenderci dall'assalto del capitale globalizzato.
Guardo alle "parole nuove" sempre con una certa diffidenza.

 
 
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